La parola “perdono” è una delle più impopolari in circolazione nell’epoca che stiamo vivendo. Perché perdonare? Vale la pena farlo? Cosa ci si guadagna? Il perdono rimanda a qualcosa di “sovraumano”, che sembra appartenere a un altro mondo, eppure passa attraverso circostanze pienamente umane. E’ una possibilità, un’occasione, un kayròs diremmo noi, che su questo termine abbiamo investito l’esperienza educativa che andiamo facendo da oltre vent’anni.
Quando un ragazzo sbaglia, quando commette un reato, il tutto si consuma in un tempo determinato, un kronos, e il rischio è che la sua esistenza resti inchiodata a quel momento, che il giudizio su di lui rimanga schiacciato su quell’errore e finisca per considerarsi una persona sbagliata, sostanzialmente un fallito. Il perdono può trasformare il kronos in un kayròs, in una possibilità di cambiamento, in una occasione di ripartenza, diventando così la cifra decisiva di una dinamica che è insieme individuale e collettiva.
Il perdono non ammette la dimenticanza, l’oblio, richiede invece di guardare in faccia l’errore commesso, di prenderne coscienza, di essere disposti a pagarne le conseguenze e insieme di considerarlo una tappa di un cammino che può diventare l’inizio di un’esistenza di segno diverso.
Il perdono nasce dentro una logica rivoluzionaria, quella del dono, così diversa da quella sostanzialmente utilitaristica nella quale siamo immersi fino al collo.
E’ l’unico antidoto alla irrevocabilità dell’azione, al sentirsi inchiodati in maniera irreparabile al proprio errore. Quando un giovane mi dice “io non potrò mai cambiare perché sono nato in una certa famiglia, sono cresciuto in un certo contesto, in un certo quartiere”, io gli rispondo che quei dati di realtà – seppur importanti – non riescono tuttavia a negare la possibilità di un cambiamento. E allora conta il sentirsi stimati, considerati anzitutto come persone prima che come autori di un reato, persone amate e alle quali può essere offerta una seconda possibilità.
Perché questo avvenga è fondamentale la dimensione comunitaria, la possibilità di incontrare qualcuno che ti stima e ti propone una strada nella quale la libertà personale viene accompagnata dentro una compagnia di persone, come ci insegna l’esperienza quotidiana di Kayròs. Tutto il contrario di quanto normalmente accade, quando la solitudine e l’autoreferenzialità prevalgono fino a diventare la regola dell’esistenza.
E’ un cammino in salita, spesso lungo e faticoso, il perdono, ma opera un cambiamento, dà un senso compiuto all’umanità di una persona e contribuisce a rendere più umana la società tutta.
don Claudio Burgio