Negli ultimi anni, direi a partire dalla conclusione del Covid, i ragazzi sono più violenti. Sono più arrabbiati. Vivono sui social e lì guardano molto spesso episodi di brutalità che avvengono e tendono a emularli. Dopo i fatti di Caivano questa preoccupazione è esplosa perché gli episodi avvenuti sono gravi, ma oltre ad informarmi ed esprimere un giudizio in merito, io davanti a questi giovani che adulto ed educatore desidero essere?
Questa è una pro-vocazione per me e per tutti gli adulti che incontro, cioè è una chiamata “verso” di loro. Spesso diamo a questa parola un’accezione negativa, ma può avere invece il significato di una “chiamata ad agire” piuttosto che a reagire. Per questa ragione quest’anno ho deciso di lavorare con i miei ragazzi e gli educatori di Kayros sulla figura di Don Puglisi che diceva: “Dobbiamo essere testimoni soprattutto per chi conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile. A lui il testimone deve infondere speranza, facendo comprendere che la vita vale se è donata.”
Non è facile educare e cioè permettere ai giovani che emerga il meglio di loro, ma solo questo può essere il nostro tentativo. Non serve reagire davanti alla loro aggressività e rabbia con ancora più restrizioni o regole, ma piuttosto ascoltare i ragazzi che incontriamo, dare loro tempo, offrire pazienza e costruire luoghi e spazi in cui conoscerli e condividere le loro emozioni, fatiche e speranze. Non possiamo occuparci dei giovani senza i giovani. La soluzione radicale, dunque, non è da ricercare tanto nelle contromisure basate su divieti, controlli e regole più stringenti, quanto nell’educazione preventiva e in un’alleanza tra gli adulti (famiglia, scuola, associazioni, oratori…) favorendo luoghi in cui costruire percorsi “con” i nostri ragazzi, perché i nostri metodi e le nostre concezioni spesso risultano obsolete e inincidenti.