Dall’esterno dentro è un’opera scritta da Matteo Gorelli nato a Firenze nel 1992.
È un educatore che lavora in Kayrós con ragazzi con precedenti penali e/o con problematiche familiari e al contempo un detenuto che sta scontando la sua pena al carcere di Bollate.
La sua opera ha preso forma in carcere, durante l’orario lavorativo, mentre tentava di capire quali implicazioni avesse sugli altri la morte da lui causata.
Vuole essere uno dei modi con cui tenta di far conoscere la voce dell’uccisore, la sua, sia a chi venne a contatto con la cronaca riguardante il suo reato, sia al figlio del carabiniere deceduto, a cui l’opera è dedicata.
Il suo obiettivo è diventare strumento per la riparazione di un danno non risarcibile.
Perché ha scritto quest’opera
- I temi dell’opera riguardano il reato e le sue conseguenze.
- Avviene una trasposizione lirica dei vissuti emotivi del carcere, in cui tratta la sua storia, tentando di passare da una prospettiva “dall’esterno” a una prospettiva “dentro”.
- È un’opera che ha scritto su fogli molto piccoli con scrittura minuta, perché sebbene il desiderio di avere voce fosse forte, il senso di colpa lo denotava come un desiderio indegno.
- È un’opera che ha nella pelle e che vorrebbe dare agli altri il segno di un dolore sincero, non redento, ma responsabile.
Un estratto…
Con arrogante voce
mi veniva detto:
‹‹è incontrovertibile!
hai mai sentito la parola Irreversibile?
rifletti bene sull’irreparabile››
Come se la pedagogia
fosse abbastanza
e le suggestioni dell’anziano
avessero più carne
dell’insaziabile coscienza
giudicante.
E quando ogni tanto esco da prigione
a respirare le marmitte degli autobus
mi accorgo di non possedere
un “donde” a cui tornare.
Miracolosamente
Sento il sapore di famiglia,
quegli esseri che cercano
di rinforzarmi la speranza.
dai quali – più da piccolo – son fuggito tanto
manco mi rivendicassero
le gambe che mi hanno messo addosso.
Fortunosamente poi realizzo
che posso ancora avere
un tetto sperduto chissà dove,
ma quel furioso Forse
poi s’attenua
inducendomi a sentire
che sono sempre un figlio.
di non dovere
per forza trattenere
il peso accumulato della croce.
di poterlo condividere e fermarmi
sì parlando con chi voleva darmi ascolto
nel tempo degli applausi ricevuti
per le mie strabilianti doti
dimostranti la follia.
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