Pau Dones, il cantante degli Jarabe de Palo, è morto a 53 anni e ci ha lasciato, tra i suoi brani più famosi, “Depende”, una canzone del 1998 realizzata in collaborazione con Jovanotti. “Depende” è un invito a guardare il mondo con occhi nuovi e a cambiare prospettiva per scoprire la realtà anche nei suoi aspetti più inediti.
Un vero e proprio inno al relativismo: in un mondo dominato da certezze scientifiche e da uno sfrenato razionalismo, il testo della canzone ci ricorda che tutto è relativo.
Non si tratta certo, in questa sede, di difendere il relativismo culturale ed etico che si sta affermando nel nostro tempo; piuttosto, di riconoscere che ogni essere umano è necessariamente in relazione, e il suo compimento “dipende” da quale legame decide in libertà di assumere come prospettiva di vita.
Ogni persona è un essere relazionale: veniamo al mondo dipendenti, a tal punto che – come dice Blondel – l’unico vero peccato dell’uomo è la sua autosufficienza, il suo pensarsi come totalmente autonomo rispetto all’altro.
I nostri ragazzi in comunità – e non solo in comunità – vivono nella presunzione illusoria di bastare a se stessi: «non ho bisogno di nessuno», «me la cavo da solo», «non mi voglio legare a nessuno, perché non mi fido di nessuno». Messi a dura prova fin dall’infanzia, molti giovani rivendicano la propria indipendenza senza tuttavia accorgersi che in realtà stanno consegnando la loro vita a nuove dipendenze e a legami più nascosti e subdoli che imprigionano.
“Da che parte guardi il mondo tutto dipende”, recita la canzone: riconoscere qual è il legame originario e autentico a cui fare riferimento è decisivo per la domanda di compimento a cui aspira ogni persona. Non è la droga, non sono i soldi, non è la ricerca compulsiva di piaceri a rispondere compiutamente alla domanda di bene che ognuno porta con sé; la ricerca più vera è essenzialmente una domanda “re-ligiosa”.
A quale relazione autentica appartiene la tua vita? Dal momento che non puoi bastare a te stesso, in chi riporre la tua fiducia? Per chi vale la pena affrontare le sfide quotidiane della vita con tutto il dramma che questo reca con sé?
In comunità a nulla vale contenere il fenomeno delle dipendenze da sostanze, se non si accompagna l’adolescente a scoprire la bellezza originaria delle relazioni e il legame inscindibile con Dio. La re-ligione, prima ancora che essere il contenitore di teorie noiose e slegate dalla realtà come spesso i giovani intendono, è il legame originario che orienta la vita verso il bene.
L’etimologia della parola latina “re-ligio” può essere riassunta secondo almeno tre lezioni:
– l’ipotesi ciceroniana che fa derivare il termine da re che indica frequenza e legere, da cui il
→ senso di cercare, guardare con attenzione, avere cura;
→ la tesi lattanziana (re, prefisso intensivo, e ligare), da cui legare, unire insieme;
→ la versione agostiniana (re, prefisso intensivo, e eligere), da cui scegliere.
Tre ipotesi etimologiche complementari che descrivono la religione come un insieme di sentimenti, di atteggiamenti di cura verso Dio e come un legame che genera una scelta di affidamento.
Come genitore, come educatore puoi anche mettere in atto strategie di controllo rigoroso per non far precipitare un ragazzo nel baratro delle dipendenze pericolose, ma non è possibile sostituire una dipendenza nociva con una dipendenza sana per imposizione.
E’ ancora possibile proporre una visione religiosa della vita a un giovane non tanto a partire da ragionamenti convincenti, quanto dalla testimonianza della nostra vita adulta.
Dalla Verità a cui decideremo di appartenere, dipenderà la certezza della nostra speranza.
don Claudio Burgio