Non capita tutti i giorni di poter parlare faccia a faccia con un ministro, di esporre le proprie idee e di discutere sullo stato di salute delle carceri e della giustizia in Italia.
Ai giovani di Kayròs è capitato e qualcuno, come Roberto, ha parlato di una “emozione inaspettata”. E’ stato un dialogo aperto e franco, vivace e a tratti anche scoppiettante, perché i ragazzi non si sono lasciati intimidire dalla circostanza né dall’austero ed elegante salone in cui poche settimane fa si è svolto l’incontro della Guardasigilli con il mondo di Kayròs, presenti don Claudio Burgio, la co-fondatrice Giuseppina Re, il direttore Guido Boldrin, responsabili ed educatori, Pietro Farneti e Laura Ossiri di Fondazione Eris con la figlia, Cinzia Abbondio della fondazione Umano Progresso.
E’ stato l’ultimo nei panni di ministra per Marta Cartabia, che con il cambio di governo è tornata a insegnare Diritto Costituzionale all’università. Nel corso del suo mandato ministeriale aveva visitato trenta penitenziari, anche quelli per i minorenni, ascoltato centinaia di persone detenute, accumulato sensazioni e giudizi che sono risultati preziosi per emanare alcuni provvedimenti tesi a snellire i processi e a rendere più umane le condizioni di vita all’interno delle carceri.
L’incontro con i giovani di Kayròs è stato l’occasione per ascoltare e raccontare percorsi di rinascita, storie di cadute e di ripartenze.
Una parola risuonata più volte è “dipende”, leit motiv dell’omonima canzone di qualche anno fa (“da che punto guardi il mondo tutto dipende”).
Don Claudio Burgio ha ricordato che “sia in carcere sia in comunità si possono incontrare delle possibilità per iniziare un percorso di cambiamento, l’esito dipende in gran parte dalla volontà dell’interessato, dalla disponibilità a mettersi in discussione. Non ci sono automatismi, è la libertà e la responsabilità di ciascuno che deve mettersi in azione”.
”Le vostre storie – ha detto Cartabia – raccontano due cose insieme: parlano di occasioni sfruttate e di vite che invece non hanno saputo cogliere le opportunità offerte”.
E ha sottolineato quanta strada ci sia ancora da fare perché nella mentalità comune maturi l’idea che il carcere deve essere contemporaneamente luogo di espiazione della pena e di educazione e ripartenza.
“Ci sono molti che pensano: ‘Hai sbagliato? Arrangiati! Il carcere è il posto dove ti mando perché hai fatto del male, e adesso devi pagare“. E’ una mentalità che ancora circola. Non è la mentalità dell’amministrazione penitenziaria, dove c’è gente che si rimbocca le maniche tutte le mattine per cercare di dare opportunità di studio, lavoro, assistenza medica e psicologica per chi ne ha bisogno. Questo chiede un enorme lavoro e può accadere che non si arrivi a tutti.
E don Burgio ha detto una cosa che non voglio lasciar cadere e cioè che bisogna coglierle queste opportunità. Io mi ricordo di una visita che ho fatto al carcere di Cagliari e c’era un reparto femminile dove il direttore mi diceva ‘le donne preferiscono qui stare in camera e non andare a lavorare’, perché non è scontato che le persone vogliano cogliere le opportunità. E’ la voglia di fare e di ricominciare che ci vogliono.
Allora è vero che la parola giusta è ‘dipende’: dipende da tante cose e cioè dalle opportunità che si creano, dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica ma dipende anche da voi che decidete il vostro percorso.