Luigi Ballerini, psicoanalista e scrittore, è grande conoscitore del mondo giovanile. Tra le sue opere più recenti, “Appuntamenti. Non agguati. Vivere bene la scuola, oggi” e “Né dinosauri né ingenui. Educare i figli nell’era digitale”.
Come legge la situazione attuale segnata dagli effetti della pandemia, con molti ragazzi arrabbiati per la privazione della libertà di movimento e altri che vivono chiusi nel loro mondo, in una sorta di “sindrome della caverna”?
La sparizione degli appuntamenti quotidiani di cui la vita è costituita ha sortito effetti in tutti, soprattutto nei più giovani. Ma il Covid non ha in sé generato nulla, ha piuttosto svelato quello che c’era già, magari sottotraccia. Chi si è isolato e ora si trova spaventato dalla realtà, probabilmente già prima aveva delle questioni aperte nel rapporto con gli altri che però riuscivano a essere compensate, magari solo con qualche interferenza sulla vita quotidiana. Allo stesso modo chi adesso sta reagendo con rabbiosità poteva avere già l’irritazione come modalità di reazione automatica di fronte ai contrattempi che gli capitavano. Siamo quindi davanti a uno svelamento. E come tale davanti alla possibilità di correzione di quegli eventuali aspetti che non erano stati considerati in passato. Una buona occasione, quindi, a partire da domande importanti: che valore ha l’altro per me? Che cosa vuol dire essere amico e compagno? Cos’altro posso fare oltre ad arrabbiarmi di fronte a ciò che mi contraria?
Molte famiglie si sentono impotenti e impreparate di fronte al disagio dei figli. Come aiutarle?
Come genitori ci siamo illusi che ai nostri figli non sarebbe mai accaduto il dispiacere, e forse abbiamo illuso anche loro su questo. Se da una parte dobbiamo fare il possibile per prevenirlo ed evitarlo, dall’altra è bene essere consapevoli che esso non è eliminabile dall’esistenza. Molti adulti sono quindi rimasti spiazzati di fronte alla sfida che si è posta: che cosa me ne faccio del dispiacere, mio e dei miei figli? È solo una maledizione da rimuovere? Il dispiacere diviene disagio quando non lo si tratta, ma per trattarlo occorre non esserne schiacciati, non soccombere. Se siamo impreparati al disagio dei nostri figli potrebbe essere perché siamo impreparati anche al nostro, presi dall’idea che le cose debbano sempre andare necessariamente bene. Tornerà di aiuto incontrare soggetti che non hanno paura della realtà, ma che si riorganizzano per affrontarla insieme. Le famiglie non vanno lasciate sole, proprio ora che con la pandemia hanno scoperto di non essere dei clan e nemmeno dei luoghi appartati dove rifugiarsi.
Famiglia, scuola e altre agenzie educative si rendono conto che è sempre più necessario lavorare in sinergia, in rete, perché da sole non ce la possono fare?
Da una parte è auspicabile che si crei questa sinergia, è infatti sotto gli occhi di tutti quanto ce ne sia bisogno. Le famiglie hanno toccato con mano come le sole mura di casa possano diventare soffocanti e limitanti, quanto ci sia per ciascuno bisogno di un fuori di cui nutrirsi in termini di rapporti ed esperienza. Anche la scuola, nella forma della didattica a distanza in cui è vissuta a lungo, si è resa conto di quanto i genitori siano alleati preziosi per facilitare l’accadere della scuola e dell’apprendimento.
D’altra parte, però, conviene intenderne la natura perché i ragazzi non ne siano soffocati. La sinergia può talora assumere la forma di un accerchiamento che toglie il fiato, mette pressione, non lascia tregue. Per un giovane, la sinergia delle agenzie educative non può tradursi nel trovarsi fra l’incudine e il martello di comandi e richieste, altrimenti l’esito può essere solo il ribellismo e la scaltrezza a sottrarsene oppure una sottomissione passiva che non porta frutti. Sinergia significa che gli adulti, innanzitutto interessati alla loro stessa vita, cooperano con lui alla sua crescita, indicano una strada possibile e affascinante e non modelli precostituiti cui adeguarsi, lo ascoltano come un soggetto titolato a dire qualcosa su di sé e sul mondo.
Giorgio Paolucci