La parola dipendenza, che viene vista con un’accezione prevalentemente negativa, evoca invece qualcosa che appartiene alla natura umana.
Tutti siamo dipendenti, anzi, interdipendenti”. Parola di Daria Casiraghi, psicologa clinica, psicoterapeutica analitica relazionale, che da vent’anni collabora con Kayròs come supervisore degli educatori.
“La dipendenza è qualcosa che ci accompagna da quando veniamo al mondo – spiega -. Ci dobbiamo affidare a qualcuno che si deve prendere cura di noi. Non a caso si dice che il bambino ha diritto a una famiglia, a fare i conti con un riferimento maschile e un femminile, a dei caregiver (come usa dire oggi) che siano per lui un riferimento costante. Per diventare grandi è necessaria la costruzione di legami privilegiati, che siano insieme affettivi e normativi. Tra i cuccioli che esistono in natura, gli umani sono quelli che hanno bisogno di un periodo più lungo di accudimento prima di poter esplorare il mondo, ciò che sta fuori di casa”.
C’è però anche una forma di dipendenza insana da parte di certi genitori…
E’ quella che si esprime nella “iperprotezione”, che anziché stimolare la crescita della personalità dei figli finisce per renderli più fragili. Li considerano come una rosa preziosa da far crescere sotto una campana di vetro, ma quando viene tolta, la rosa sfiorisce. I figli vanno accompagnati in un percorso di progressiva autonomia perché diventino capaci di fare il loro debutto nel mondo, ma accompagnare non significa soffocarli, sostituirsi a loro. Altrimenti…
Altrimenti cosa succede?
Si sviluppa la “controdipendenza” da parte dei figli, il desiderio di differenziarsi dagli adulti secondo una dinamica di autoaffermazione che spesso si esprime in una opposizione “di principio” a ciò che viene proposto dai genitori. I quali devono perciò essere consapevoli che i figli sono “altro” rispetto all’immagine e ai progetti che loro si sono costruiti, non devono essere condizionati dalle loro aspettative.
E’ complicato mantenere la “giusta distanza”, come si fa?
E’ già buona cosa costruire una regia educativa tra i due genitori, per cercare un equilibrio tra la tendenza alla iperprotezione e quella a lasciare le briglie completamente sciolte in nome di un’idea sbagliata di libertà. In particolare, chi è alle prese con figli che sviluppano problemi di dipendenza da sostanze deve comunicare un senso della libertà che non significhi abbandonarsi alle sensazioni momentanee: quello che ti rende felice, figlio mio, deve renderti libero, non deve farti schiavo.
I genitori possono bastare?
E’ importante concepirsi dentro una logica inter-relazionale, che valorizzi il ruolo educativo di altre figure a cui i giovani guardano come a persone significative per il definirsi della loro personalità: un insegnante, l’allenatore, un educatore, un prete… E’ la logica dell’interdipendenza, espressa in maniera efficace da un proverbio africano: “Per crescere un bambino c’è bisogno di un villaggio”.
In definitiva, quale consiglio manda ai genitori?
Volere bene ai figli senza soffocarli, sapendo che non gli appartengono, amare la loro libertà e il loro destino più di ogni altra cosa, e rileggere ogni tanto le parole del poeta libanese Kahlil Gibran: “Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati”.
Giorgio Paolucci