Massimo Eccheli, una lunga e brillante carriera sui campi di pallavolo, collabora con la VeroVolley Monza, prima come responsabile dei team giovanili e da ottobre del 2020 come head coach del team militante in Superlega.
“La forza di una catena dipende dalla cura che viene data agli anelli più deboli”. Come si può tradurre questa frase di Papa Francesco nella pratica sportiva di una squadra?
Non mi piace pensare al fatto che in una “catena umana” o in un team si debbano considerare deboli degli elementi che hanno caratteristiche apparentemente meno importanti rispetto ad altri. Spesso capita che le cosiddette personalità forti emergano diventando preponderanti nelle dinamiche di gruppo, ma chiedo sempre loro di comportarsi come grandi stelle in grado di illuminare quelle più piccole, così da rendere la squadra più consapevole e quindi più forte.
Lei ne ha fatto esperienza nella sua carriera come giocatore e come allenatore ?
Sono stato giocatore dai 15 ai 25 anni, quindi fino a 30 anni fa, e purtroppo non ricordo più molto bene cosa succedeva in tal senso, sicuramente da giocatore io ero un leader, forse un po’ egoista, e questo probabilmente non sempre mi ha fatto onore. Nella mia attività di coach mi succede quasi quotidianamente di dover intervenire per cercare di “correggere” alcuni comportamenti, nel tentativo di trovare la “balance” di gruppo e far sì che tutti possano avere un proprio ruolo e sentirsi come raggi di una ruota di una bicicletta.
Competitività di una squadra e attenzione agli atleti che hanno meno potenzialità: come si possono conciliare questi due aspetti?
Tutto è conciliabile all’interno di un gruppo-squadra, l’importante è che ci sia grande consapevolezza, che tutti si voglia concorrere a obiettivi comuni, che esista la disponibilità ad aiutarsi affinché le potenzialità di ognuno possano svilupparsi e diventare risorse del team. Al coach spetterà il compito di organizzare e strutturare la strada da percorrere, così che nessuno resti indietro e possa dare il proprio contributo nel viaggio che sarà intrapreso, ricordandosi sempre che il dove si arriverà sarà solo l’esito di come si viaggerà.
Guido Boldrin