Cosa può nascere da un gesto semplice di gratuità?
A settembre di tre anni fa un’amica mi ha proposto di andare a cucinare una volta alla settimana insieme a lei a Kayrós.
L’inizio è stato difficile: il mio problema era cosa dire e cosa fare. Arrivavamo, cucinavamo, mangiavamo con loro, ce ne andavamo.
Mi sentivo trasparente, come se non ci fossi, e un po’ frustrata. I ragazzi stavano a tavola giusto il tempo di mangiare, avanzavano cibo, urlavano tra loro e agli educatori.
Nel tempo hanno cominciato a cambiare. O forse a cambiare sono stata io: mi sono accorta di non avere più il problema di cosa dire e cosa fare, stavo con loro e basta, e forse anche loro se ne sono accorti.
E’ nata una confidenza che permette di scherzare, abbracciarli, sorridere, anche rimproverarli.
A tavola si riesce a parlare anche di progetti, di futuro … Fanno fatica a proiettarsi nel tempo, molti sono feriti da esperienze familiari dolorose.
Ogni tanto escono pezzi di umanità e, per un attimo, qualcuno si lascia andare e racconta qualcosa. Un giorno sono andata insieme a un’educatrice a parlare con gli insegnanti di uno di loro che rischia di perdere l’anno; mi sono mossa per attivare l’alternanza scuola-lavoro e, quando lui lo ha saputo mi ha detto: «Non pensavo arrivassi fino a questo punto!».
Un altro, che dice di non fidarsi di nessuno, scrive canzoni (tra loro molti lo fanno, sono rapper) e ogni tanto ci fa ascoltare i suoi testi. È un’esperienza densa e fatta di cose semplici. Anche il rapporto con le educatrici si è approfondito, nonostante il turnover.
Stare con i ragazzi non è facile per nessuno, neanche per i professionisti, nemmeno l’università prepara a un’esperienza tanto intensa.
In definitiva, cosa guadagno da un’esperienza così?
Ho imparato ad ascoltare, a osservare, a non giudicare e a non fermarmi all’apparenza e tutto questo diventa una ricchezza anche in famiglia, con gli amici e i colleghi. Ho conosciuto ragazzi con storie tristi, faticose, ma che come me vogliono essere felici.
Lidia