Li chiamano ragazzi a rischio, bulli, delinquenti, ragazzi di strada, giovani devianti, mostri: per me sono ragazzi e basta.
Ragazzi trasgressivi che, abbandonati a se stessi, sconfinano in comportamenti antisociali e perdono il controllo della loro impulsività fino a diventare pericolosamente violenti; minori che tentano di soffocare dentro il dolore che li accompagna da quando sono nati.
Mentre buona parte dell’opinione pubblica e la coscienza collettiva li bolla con orrore e ribrezzo favorendo l’incremento di un giustizialismo della peggior specie, io continuo a guardarli con quella pietas che non è commiserazione distaccata, ma è un sentimento realmente evangelico di intima consonanza con il dolore dell’altro che diventa tuo.
Li incontro nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e nelle comunità di accoglienza Kayrós, li ascolto nei colloqui personali, per strada. Con quella tremenda voglia di gridare al mondo il loro esserci, sono diventati i miei compagni di viaggio, coloro che Dio ha messo sulla mia strada perchè io imparassi ad amare e a lasciarmi amare: coloro che, senza saperlo, mi annunciano ogni giorno la gioia del Vangelo e mi aiutano a credere.
Sono angeli sul mio cammino. Sono cuori violenti spesso per disperazione. Più vado avanti, più mi convinco di una cosa: non esistono ragazzi cattivi.